1.
JasmineAll'ombra di un grande albero, un gruppo di ragazzine sedute in cerchio a gambe incrociate, si raccontavano una meravigliosa fiaba: la protagonista, una bellissima principessa di nome Jasmine, viveva in un palazzo d'oro, sopra nuvole di panna. Ad ascoltarle, nascosta dietro le alte siepi, c'era una ragazzina di circa tredici anni, dai capelli scuri e lisci. Aveva grandi occhi neri, uno sguardo dolce e malinconico, con sopracciglia folte e grandi labbra polpose. Indossava un vestito stracciato, largo e pieno di toppe, l'unico che avesse.
La sua storia era molto triste. Per quel che si ricordava aveva sempre abitato a Lucknow. I suoi genitori erano molto poveri; non potevano mantenerla e la avevano abbandonata in una strada della città. Quando questo era successo lei era molto piccola e ora ricordava solo vagamente i volti sfocati di sua madre e di suo padre. Viveva di piccoli furti e molta carità e trascorreva le sue giornate spiando altri bambini che giocavano nelle loro case e nei giardini. Non sapeva la storia della sua famiglia e non conosceva neppure il proprio nome.
Affascinata da ciò che stava ascoltando, decise di prendere il nome della principessa Jasmine.
Da quel momento in poi spiò sempre di più quei bambini: guardava i giochi con le bambole e con le palle, ma era soprattutto attirata dalle storie che leggevano. Amava ascoltare ogni giorno le avventure fantastiche, piene di fate e streghe. Che bello poter leggere! Ma lei non poteva andare a scuola e così non sapeva né leggere né scrivere.
In una mattina piena di sole Jasmine stava osservando, come al solito, i bambini che cercavano di far volare un aquilone. All'improvviso si sentì toccare una spalla e si voltò di scatto:
A parlare era stato un uomo con una barba folta, nera, il capo avvolto in un turbante blu.
La ragazzina si preoccupò, a lei sembrava di non aver fatto nulla di male.
- Potrei anche denunciarti.
Cercò di giustificarsi, ma l'uomo era minaccioso.
- Se non vuoi che ti denunci, devi venire a lavorare nella mia fabbrica di tappeti.
- Non sono capace.
- Imparerai presto, come tutti gli altri e potrai guadagnare.
Jasmine cominciò a pensare cosa avrebbe potuto fare con i soldi. Forse avrebbe potuto andare a scuola, leggere libri e sognare, come gli altri bambini.
- Va bene, accetto.
E così l'uomo la portò in fabbrica.
Jasmine doveva faticare molto, ma tutta la sua vita era stata molto dura. L'unica cosa positiva era la possibilità di parlare con altri bambini e diventare loro amica.
2.
La famiglia di IqbalIqbal se ne andava pensieroso lungo il sentiero. In mano teneva una corda a cui era legato un sambar dal pelo morbido, grigio scuro e con corna molto lunghe. L'animale seguiva rassegnato il ragazzo.
Aveva tredici anni, era alto e molto magro, aveva capelli neri come il carbone, occhi dello stesso colore particolarmente vivaci ed era di carnagione scura. Viveva vicino ad Agra, in un piccolo villaggio le cui case erano fatte di lamiera, legno e paglia. La gente era povera, ma viveva dignitosamente coltivando piccoli pezzi di terreno. Iqbal aiutava nei campi il padre che lavorava la terra con attrezzi rudimentali. Il raccolto era misero: qualcosa veniva venduto al mercato di Agra, ma quasi tutto serviva al nutrimento della famiglia. Nella stagione delle piogge il raccolto l'acqua distruggeva tutto e negli altri periodi si doveva pensare anche alle scorte di cibo.
La madre era una signora di mezza età, sciupata dalla vita di stenti che conduceva, ma era sempre gentile e comprensiva con tutti anche se, quando ci voleva, era molto severa con i figli. Era esperta in erbe medicinali. Al villaggio non c'era il dottore e lei, in caso di malattia e incidenti, curava i suoi cari e anche le altre persone. Provvedeva alla famiglia, cercava le erbe e le faceva seccare.
Iqbal aveva cinque fratelli, ma per un drammatico incidente Damien, il fratello maggiore, era morto. Stava procurandosi radici e miele selvatico, quando fu attaccato da una tigre. Aveva tentato di scappare ma la belva gli era saltata addosso. Il ragazzo aveva brandito il suo pugnale e lo aveva infilzato nella zampa della tigre. Non era servito a molto, anzi l'animale si era infuriato e aveva cominciato a graffiarlo e a morderlo, procurandogli profonde ferite. Quella volta nemmeno le erbe della madre erano servite a salvargli la vita.
Sita ora era la più grande e si era sposata.
Indhira aveva sedici anni, raccoglieva nella foresta la legna, che usavano per cucinare e per riscaldarsi, e frutti selvatici.
Balachendar aveva cinque anni eppure aiutava la mamma. Era il più giovane della famiglia. Usava delle foglie come turbante e giocava a fare il maharaja, mentre Indhira faceva la sua schiava. Imitava Iqbal quando andava a caccia, usando due legnetti come pugnale e ogni tanto faceva il birichino, rubando frutta e verdura ai vicini.
In famiglia c'era serenità. Quando i genitori avevano bisogno, i figli senza discussioni né pianti inutili, ubbidivano immediatamente, senza fiatare né fare finta di non avere sentito.
Iqbal a volte andava a caccia per trovare qualche animale da allevare o da mangiare. Era molto furbo e sveglio, amava stare all'aperto. Non sempre però uccideva gli animali catturati, ma spesso diventava loro amico.
3.
La cacciaAnche il giorno precedente era andato a caccia. S'era addentrato nella folta vegetazione della giungla. I tronchi s'innalzavano come altissimi grattacieli, le foglie variavano dal giallo pallido al verde bottiglia, i ruscelli scorrevano come lunghi serpenti e gli uccelli cantavano allegramente.
Il ragazzo aveva fatto parecchi tentativi ma non aveva raggiunto nessun risultato.
Fortunatamente quel giorno era la festa di Dasara. Le donne e i bambini portavano, sulla testa, piatti ed altri recipienti pieni di fiori e di candeline accese e andavano al fiume per depositarli. Ciascuno disponeva sull'acqua i fiori e le candele incollati su delle zattere della forma preferita. I piccoli ceri erano disposti in modo da durare il più a lungo possibile. Tutti si fermavano finché le zattere erano scomparse all'orizzonte; poi recitavano una preghiera rivolta alle persone cui era dedicata quella composizione. La festa si svolgeva verso il tramonto e le candeline illuminavano il buio.
Ad Iqbal piaceva molto questa festa. Si era divertito a sistemare fiori e candele sulle zattere, ma era soddisfatto soprattutto di essere riuscito, anche se con fatica, a formare un grande cuore. La festa gli aveva fatto dimenticare la disavventura del mattino, ma quando arrivò a casa era sconsolato: sapeva che avrebbe dovuto vendere il suo sambar.
Tempo prima aveva catturato l'animale che era ormai diventato un suo amico. Ma eravamo nella stagione delle piogge. Quell'anno erano state più intense e più disastrose del solito e i magri raccolti della famiglia erano andati irrimediabilmente persi. In casa non c'era quasi più nulla da mangiare.
La mattina seguente, con la disperazione nel cuore, Iqbal era partito per la città.
Strada facendo si guardava attorno per distrarsi e non pensare a ciò che avrebbe dovuto fare. Era ancora presto quando arrivò ad Agra e rimase colpito ancora una volta dal Taj Mahal, una tomba monumentale di una regina simile a un palazzo principesco. Davanti ad esso c'era una grande fontana affiancata da due filari di alti cipressi verdi. Il grande palazzo si rifletteva sulle acque limpide; era circondato da un muro alle cui estremità c'erano alti torri. Sopra al palazzo s'innalzava una grossa cupola affiancata da due più piccole.
Iqbal proseguì fino a quando arrivò al mercato. L'ambiente era molto colorato e c'era intorno un gran vociare. Donne vestite in coloratissimi sari erano sedute accanto alla loro merce disposta su dei teli messi per terra. I prodotti che vendevano erano di caldi, intensi colori. Le persone camminavano tra le bancarelle fermandosi qualche volta a chiacchierare con gli amici. Anche Iqbal si sedette a gambe incrociate sul terreno polveroso, in mano teneva la corda a cui era legato il suo sambar. Le persone passavano davanti a lui senza prestargli attenzione. Solo un bambino si avvicinò ma i suoi genitori lo trascinarono subito via.
4.
L'incontro con KumarIqbal si guardava intorno. L'aria era diventata irrespirabile, i venditori continuavano a gridare a squarciagola. Non era riuscito a vendere l'animale. Come avrebbero fatto? Il ragazzo era spaventato. All'improvviso si sentì toccare il braccio, era un uomo con una barba folta, nera, il capo avvolto in un turbante blu.
L'uomo lo stava fissando e con voce profonda lo interrogò:
- Come ti chiami?
- Iqbal
- Cosa stai facendo?
- Avrei dovuto vendere questo sambar ma nessuno l'ha voluto comprare.
- Perché vendi questo animale?
- La mia famiglia ha bisogno di soldi
- Vorresti venire nella mia fabbrica di tappeti? Potresti guadagnare parecchio.
Il ragazzo lo guardò negli occhi neri, nascosti da ciglia profonde. L'espressione dell'uomo non era rassicurante.
- Allora Iqbal cosa hai deciso?
- D'accordo vengo, ma come ti chiami?
- Io mi chiamo Kumar, però adesso andiamo.
- Però prima vorrei andare a salutare la mia famiglia.
- Vengo con te - soggiunse l'altro.
I due salirono sull'elefante di Kumar, seguiti dal sambar, e andarono nel villaggio. Arrivati a casa, l'uomo si presentò ai genitori e con un atteggiamento molto gentile li informò di quello che offriva al figlio; spiegò anche che andare a lavorare nella sua fabbrica sarebbe stata una fortuna per tutti loro. Il ragazzo affidò alle cure dei fratelli il suo animale e i due si avviarono verso la loro destinazione.
Il viaggio, compiuto sempre sul dorso dell'elefante, fu lungo e faticoso. Dopo un paio di giorni giunsero a Lucknow. La città sorgeva sulle rive del fiume Gomati, affluente del Gange. Padiglioni, cupole, archi, giardini, edifici spettacolari, moschee s'innalzavano in ogni angolo: Iqbal continuava a guardarsi intorno incantato. Attraversarono il ponte dei Dobbi, uscirono dalla città e arrivarono ad un edificio grande, formato da assi sconnesse e un tetto di lamiera: era la fabbrica.
5.
La fabbricaAll'interno c'era molta confusione, la luce era fioca. Vicino ai telai c'erano molti bambini, altri erano sdraiati sui pagliericci messi in fila lungo i lati del capannone. L'aria era irrespirabile. Alcuni si lamentavano, molti piangevano. I più grandi lavoravano senza posa.
L'arrivo dei due provocò un attimo di silenzio: decine d'occhi si posavano sul nuovo ragazzino e sui volti si dipingeva un'espressione di pena. Iqbal si spaventò: dove era capitato?
Subito fu messo a fianco di un telaio ad aiutare altri bambini e fino a sera non poté fermarsi. All'ora di cena arrivò un guardiano che gli servì una scodella di riso. Tutti i bambini si gettarono sui loro giacigli e si addormentarono sfiniti. Iqbal era troppo spaventato per dormire. Pensò a tutti gli avvenimenti delle ultime giornate. Ripensò soprattutto alla speranza di guadagnare qualcosa per la sua famiglia, quando Kumar gli aveva chiesto di andare a lavorare nella sua fabbrica. Era quasi l'alba quando riuscì a addormentarsi.
Ben presto il ragazzino capì di essere caduto in trappola: i bambini erano praticamente prigionieri. Lavoravano tutto il giorno, ricevevano solo una scodella di riso a mezzogiorno e a sera. Se qualcuno si ammalava non veniva curato. I bambini, quando si sentivano male, stavano sdraiati sul loro pagliericcio perché il dottore non passava mai. Alcuni di loro morivano. A nessuno era permesso di allontanarsi da quel luogo.
Un giorno Iqbal dovette aiutare una ragazzina a tessere un tappeto molto grande ed importante.
Ad un certo punto chiese come si chiamava e lei, esausta, gli rispose tristemente:
- Il mio nome è Jasmine! -
Sospirò, pensando con quanta gioia aveva scelto il suo nome e per un attimo si ricordò della bellissima principessa della fiaba che le bambine si raccontavano.
Iqbal conobbe molti altri bambini. Il lavoro diventava sempre più duro, un giorno ebbe anche lui il suo telaio.
Di notte il ragazzino pensava ai genitori, ai fratelli e al suo animale.
I giorni erano sempre uguali, lunghi e noiosi. Il cibo scarseggiava e quasi mai vedevano il sole. La stagione delle piogge stava ormai terminando ma gli acquazzoni quotidiani erano ancora molto forti. L'acqua schizzava violentemente sul tetto di lamiera con un rumore assordante. Non si poteva uscire dalla fabbrica. Alla pioggia seguiva un caldo umido difficilmente sopportabile. Il vapore si alzava dalla terra rendendo l'aria rovente.
In questo periodo Iqbal diventò amico soprattutto di Jasmine. Gli piaceva parlare con lei, ascoltare la storia della sua vita e raccontarle avventure di caccia.
All'inizio di settembre arrivarono bambini nuovi. Iqbal si trovava in quell'edificio da quasi tre mesi ed era diventato molto bravo a tessere. Quel giorno Kumar gli aveva affidato un lavoro molto impegnativo e perciò arrivò a sera molto stanco e non volle nemmeno la ciotola di riso. Mentre andava a dormire incontrò Jasmine e le disse:
- Adesso ho un lavoro molto più impegnativo e sono stravolto. Non ho neanche mangiato.
- Mi dispiace. Credo che adesso ti convenga andare al tuo pagliericcio. Anche a me ha assegnato un lavoro molto impegnativo.
- Io credo che tu sia già abituata.
- Purtroppo sì.
- Ti ricordi quando eravamo liberi?
- Sì!.
- Perché non scappiamo, Jasmine?
- E' troppo pericoloso. Se incontriamo qualche animale feroce?
- Io non ho voglia di stare sempre qui.
- Ma dove andiamo Iqbal?
- Da qualsiasi parte, purché sia lontano da qui.
Passarono ancora tre settimane. Finalmente la stagione delle piogge era finita e i due ragazzi pensavano sempre ad un modo per fuggire. Un giorno Kumar andò in città per cercare altri ragazzi con il suo elefante. Jasmine e Iqbal decisero di approfittare di quel momento. Quella notte c'era la luna piena; Iqbal svegliò la sua compagna di fuga.
Il guardiano stava dormendo. I due ragazzi lentamente afferrarono un pugnale nella stanza delle guardie e con prudenza aprirono la porta che cigolò. L'uomo si mosse nel suo letto e i ragazzi pensarono che si fosse svegliato.
Cominciarono a correre verso gli alberi, guardandosi ripetutamente alle spalle ma il guardiano dormiva.
La luna illuminava il sentiero; la giungla risuonava dei versi degli animali notturni. Iqbal e Jasmine si fermarono a riprendere fiato: era bello riascoltare i rumori consueti. Ad un tratto si sentì il barrito dell'elefante: Kumar stava tornando. I due ragazzi abbandonarono il sentiero e s'inoltrarono nella foresta.
Kumar passò di fianco senza vederli: forse erano in salvo. Ritornarono sul sentiero principale e ripresero il cammino.
Il sole stava sorgendo ad est ed i due ragazzi si sentivano più tranquilli.
6.
La fugaCamminavano spediti; volevano arrivare il più presto possibile a Benares, una grande città, ad est, di cui avevano sentito parlare tante volte. Speravano di trovare una possibilità di vita migliore.
Le scimmie nascoste tra i rami degli alberi fitti, osservano incuriosite i passi di Iqbal e Jasmine e li salutavano con urla acute. Il vento intenso agitava i piccoli cespugli spinosi. Un cobra si avvolgeva come una spirale ad un tronco. Iqbal scrutava con attenzione l'erba folta perché temeva di trovarvi una tigre.
Arrivarono ad un fiume. Le acque fangose scorrevano tranquille verso il mare: doveva essere il Gange, che avrebbe potuto condurli più velocemente a Benares. Iqbal ricordò quando era andato a pescare con suo padre: prese un ramo, si costruì una specie di lenza e si mise ad aspettare che un pesce abboccasse. Con molta pazienza e buona volontà riuscirono a procurarsi diversi pesci. Alcuni li mangiarono subito, altri li tennero per il viaggio.
Calmata la fame, decisero di costruire una zattera, utilizzando tronchi trasportati dal fiume e arenati a riva. Li legarono fra di loro con radici aeree, che avevano potuto tagliare con il coltello che si erano procurati nella fuga. Ultimato il lavoro, si imbarcarono sul mezzo di fortuna che avevano realizzato e, aiutandosi con due lunghi bastoni che fungevano da remi, cominciarono la loro navigazione sul fiume Gange. Videro grandi coccodrilli dal muso lungo e stretto che beatamente dormivano. Due nilgai si bagnavano sulla riva del fiume; nella foresta avvistarono anche una tigre che allattava i suoi piccoli. Su un albero dai rami lunghi, videro spuntare una coda pelosa, ad anse..... era una pantera nera!
Un'ombra coprì la loro testa, guardarono in alto e si accorsero di un grande uccello che volava in cerchi concentrici, sempre più piccoli, per gettarsi poi in picchiata sulla preda.
In quel momento sentirono canticchiare due uccellini innamorati, che, felici, volavano sopra la loro zattera: Jasmine tese il suo piccolo dito affinché un uccellino si potesse posare.
Il viaggio proseguiva lento e tranquillo ma il fiume Gange, a loro insaputa, ogni tanto era attraversato da correnti molto forti che potevano essere pericolose.
Navigavano tranquillamente da una settimana, quando all'improvviso l'imbarcazione cominciò a tremolare sempre più forte e a girare su se stessa. Iqbal intuì subito il pericolo. Cominciò a spingere la zattera verso la riva. Gridò a Jasmine di prepararsi a saltare a terra, ma la ragazzina era troppo spaventata.
- Salta, svelta! Al tre!
- Ho paura.
- Dammi la mano.
Iqbal saltò ma Jasmine rimase paralizzata e non lo seguì. La zattera sbatté violentemente contro la riva, Jasmine cadde in acqua.
Il ragazzo prese subito un ramo, che era vicino a lui e lo porse a Jasmine. La ragazzina lo afferrò con entrambe le mani e fu in salvo.
I ragazzi si guardarono attorno preoccupati: secondo loro Benares era ancora lontana e non se la sentivano di proseguire sul fiume. Bisognava trovare almeno un sentiero e dirigersi verso est.
Si misero in cammino. Dopo pochi passi Jasmine si lamentò:
- Iqbal sto male.
Il ragazzo si preoccupò perché sentiva per la prima volta la sua amica lamentarsi. Si fermarono immediatamente.
Iqbal si ricordò delle parole di sua madre:
- Un fiume molto freddo, se ci cadi dentro, può anche farti morire, però sugli animali non fa effetto. Queste sono le erbe che devi cercare per non morire: succo di zenzero, succo di banian, almeno dieci semi di rambutan, cinque gocce di resina, radici di bambù: mischiale insieme e otterrai un ottimo risultato.
Iqbal cercò e trovò tutti gli ingredienti necessari; mischiò tutto insieme come gli aveva raccomandato la madre e costrinse Jasmine a berlo. L'intruglio le fece bene... anzi la fece guarire, anche se furono necessarie due settimane.
Trovarono anche una tana abbandonata che diventò il loro rifugio.
Mentre la sua amica cercava di riprendere le forze, Iqbal si diede da fare con il coltello. Tagliò rami e rese appuntite le loro estremità: poté così preparare trappole e catturare qualche piccolo animale. Finalmente la loro dieta, almeno in alcune occasioni, variò.
7.
Nuovi amiciEra stata una giornata come tutte le altre. Jasmine era ormai guarita e stava recuperando le forze.
Il sole stava calando. Gli ultimi bagliori rosseggianti illuminavano chiazze di giungla: luci ed ombre giocavano fra di loro, attirando l'attenzione di due ragazzini, seduti vicini al fuoco, che si guardavano attorno incuriositi e timorosi.
- Quando riprendiamo il cammino?- cominciò a chiedere la ragazza - Quando arriveremo a Benares?
Durante i giorni trascorsi insieme Jasmine aveva cominciato a considerare Iqbal come un fratello. Non aveva avuto una famiglia e per la prima volta nella sua vita si sentiva protetta. Di lui si fidava ciecamente.
Iqbal fissò un punto all'orizzonte. Non sapeva cosa rispondere. Nemmeno lui sapeva dove fossero, mentre era ben consapevole dei pericoli a cui erano esposti. Si sentiva responsabile, anche perché l'idea della fuga era stata sua. E se non fossero riusciti ad arrivare a Benares? E se fosse capitato qualcosa a lui?
Tenne, ancora una volta, per sé i suoi pensieri e cercò di rassicurare la sua compagna.
- Domani cercheremo un sentiero. Vedrai, arriveremo presto.
- Tu non hai mai paura?
Iqbal pensò bene alla risposta da dare. Aggiunse altra legna al fuoco e sospirò.
- Tutti hanno paura.
Jasmine ripensò a tutta la sua vita. Quante volte aveva avuto timore!
- Ma adesso ci sei tu!
- Ti sei pentita di essere fuggita?
- No, nemmeno per un momento. Ho trovato te, che sei diventato la mia famiglia. Finalmente ho anch'io qualcuno che mi vuole bene, che mi protegge.
- Davvero sono così importante per te?
- Sì.
Iqbal chinò la testa. Era stupito, non si era reso conto di essere così importante per lei:
- Anch'io sto bene con te e non rimpiango troppo la mia famiglia.
All'improvviso il barrito di un elefante ruppe il silenzio. In lontananza si udivano voci e tonfi. I due ragazzi corsero in quella direzione; graffiandosi braccia e gambe fra i cespugli, arrivarono ad un accampamento: tre elefanti erano saldamente legati ad un sal, al centro era stata montata una larga tenda. Sotto tre mercanti,
riccamente vestiti, mangiavano e bevevano mentre alcuni servitori lavoravano lì attorno.
Iqbal e Jasmine si fermarono preoccupati, ma subito un mercante fece loro cenno di avvicinarsi. Il cibo mandava profumi deliziosi, facendo venire l'acquolina in bocca ai due ragazzi. Gli uomini si accorsero delle occhiate che i due lanciavano al cibo e li invitarono a sedersi con loro. Dopo essersi ristorati, Iqbal e Jasmine chiesero informazioni sulla strada per Benares. Seppero così di essere sulla direzione giusta, ma di dover camminare ancora molto. Non fidandosi però degli sconosciuti, decisero di proseguire da soli.
Dopo due giorni di cammino trovarono, poco lontano del sentiero, un edificio imponente.
La costruzione era piena di merlature e scalinate.
- Ma è fantastico! - esclamò soddisfatta Jasmine, vedendo la prima sala. Le colonne erano laboriosamente scolpite in un angelico marmo bianco, i giochi di luce rendevano l'ambiente ancora più affascinante.
Un elefante sempre in marmo bianco, era in mezzo alla fantastica sala. Sul retro il giardino si affacciava su un fiume: avevano ritrovato il Gange!
Nel prato crescevano tanti alberi da frutta....
Si divertirono a raccogliere i frutti, li portarono nel tempio e li appoggiarono su un tavolo. Un istante dopo i frutti non c'erano più.
- Dove sono finiti?
Un grido acuto irruppe nella stanza, pochi secondi dopo apparve una scimmia, seguita da altre quattro. Saltavano, giocavano, andavano su e giù per le colonne dando gioia ai due ragazzi che imitavano gli animali e fingevano d'essere come loro. Scesa la notte, dormirono nel tempio.
Fu un periodo davvero fantastico: erano liberi, avevano cibo e amici con cui giocare.
Ma un mattino le scimmie diventarono agitatissime, sembravano voler dire loro qualcosa. Capirono allora che non tutto andava bene.
- Jasmine! Senti anche tu questi rumori?
- Sì, anch'io ho sentito qualcosa di strano.
Iqbal vide un fucile puntato verso di loro.
- A terra!
- Scappiamo!
Velocissimi fuggirono dal tempio, mentre le scimmie tenevano occupati i bracconieri. Si diressero verso il giardino, per costeggiare il fiume. Videro la barca, con cui erano arrivati gli uomini, ormeggiata alla riva. Senza pensarci, vi saltarono sopra e con l'aiuto dei remi si allontanarono velocemente, trasportati dalla corrente.
8.
BenaresIl viaggio sul fiume durava da alcuni giorni, quando videro un tempio: era a due piani, aveva enormi arcate, con tre grandi cupole e due finestroni azzurri. Forse erano arrivati alla grande città.
- Ecco! Siamo a Benares - affermò Jasmine
- Sì, è vero.
Il viaggio era durato più di un mese. Si era ai primi di dicembre e il clima era piacevole.
Accostati alla riva, lasciarono lì la barca e scesero a terra. Furono accolti da una dolcissima musica: seduti su una stuoia e appoggiati contro un muro, un quartetto di musicanti suonava strumenti tradizionali; i quattro uomini indossavano tuniche bianche e sul capo avevano dei turbanti coloratissimi.
Jasmine e Iqbal si divertivano a camminare per le vie di Benares: erano finalmente di nuovo liberi di fare quello che volevano.
La città era enorme; sulla riva i due ragazzi vedevano uomini e donne vestiti con i loro costumi tradizionali, immergersi nel fiume sacro per purificarsi e pregare.
Grandi palazzi con enormi scalinate si affacciavano sul Gange; un'imponente torre di un tempio indù sovrastava il cielo azzurro turchino.
9.
Il dottor IsaiaIl dottor Isaia era italiano, di Milano; aveva compiuto da poco trentacinque anni e non si era ancora sposato.
Quando era bambino aveva avuto un grave incidente che aveva modificato la sua vita. Andando a trovare un suo amico, era caduto dalla bicicletta sbattendo contro un'auto che passava. Il grave incidente lo aveva costretto a cure molto lunghe e dolorose. Era guarito però bene e da quel momento aveva pensato di fare il dottore, da grande. Aveva mantenuto la promessa fatta da piccolo. Si era laureato in medicina ed era andato a lavorare al Policlinico della sua città. Durante le ferie amava viaggiare. Aveva visitato molti paesi: Cina, Colombia, Brasile, vedendo dappertutto la miseria. Anche quando si trovava a casa, vedeva nella mente e nei sogni la povertà delle popolazioni visitate. Aveva deciso quindi di cambiare la propria vita e di iscriversi all'associazione "Medici senza frontiere".
La sua prima destinazione fu Calcutta, in India. Nelle vie passeggiavano mucche insieme alle persone che nella maggioranza, se avevano fortuna, mangiavano frutta e bevevano acqua pulita e vivevano in case di cartone e lamiere. Tutti sporchi di fango lavoravano per un soldo. Trovò anche un bambino con pochi stracci addosso, abbandonato stremato su un marciapiede: lo aiutò subito e lo portò in ospedale. Vide molte fabbriche di tappeti, probabilmente popolate da bambini. Invece di pullman c'erano carretti trainati da persone obbligate a lavorare.
Il dottor Isaia si trovava a Calcutta da quasi un anno quando nella vicina Benares scoppiò un'epidemia: fu mandato in quella città ad aiutare le persone colpite dalla malattia. Trovò file di ammalati che aspettavano pazientemente le cure; solo i più gravi potevano essere ricoverati. Lavorava continuamente e aveva poco tempo per riposarsi. Una sera fu invitato a cena da un amico indiano e lì conobbe una dolce signora anziana, la principessa Aurora.
Per fortuna l'epidemia passò abbastanza in fretta e Isaia aveva un po' più di tempo libero, anche se per le strade capitava ancora di incontrare degli ammalati.
Un giorno si avvicinò ad un bambino ammalato e si fermarono accanto a lui due ragazzi.
Erano incredibilmente sporchi, avevano i vestiti stracciati, di un colore indefinibile ed erano stranamente allegri. I loro occhi brillavano e scoppiavano a ridere senza motivo.
- Chi siete? Da dove venite? - chiese loro.
Jasmine e Iqbal lo fissarono.
Giravano da giorni fra i vicoli di Benares. Si nutrivano soprattutto di pesci e frutta. Iqbal ogni tanto andava a caccia, insegnandone i segreti a Jasmine che, a sua volta gli spiegava i segreti per sopravvivere in una grande città. Erano inseparabili; dividevano il cibo, i giochi, i pensieri. Nonostante non avessero niente, erano felici.
L'uomo era alto, imponente. Aveva grandi baffi, ma un dolce sguardo.
Anziché rispondere, chiesero a loro volta:
- Che cosa stai facendo?
- Sto curando questo bambino malato. Perché siete in giro da soli?
Iqbal e Jasmine raccontarono la loro lunga storia.
- Non potete continuare a vivere in questo modo, senza futuro.
Isaia chiuse gli occhi e si ricordò della principessa.
- Chiederò aiuto ad Aurora.
- Chi è Aurora?
- E' una principessa vedova ed ha una storia lunga come la vostra.
10.
AuroraAurora era nata a Lugano, in Svizzera; la sua famiglia era ricca: il padre era un direttore di banca e sua madre si dedicava ai due figli e alla casa. Aurora cresceva felice, amata dai suoi, e si divertiva molto a giocare con il fratello minore, soprattutto a rincorrersi per il giardino.
Diventava grande in fretta, ormai aveva quattordici anni e i genitori decisero di mandarla in un college a Londra per completare la sua istruzione. A quattordici anni era una bella ragazza: aveva i capelli lunghi e neri, e gli occhi celesti, era molto alta. A scuola prendeva ottimi voti; era molto gentile e educata. Si trovava bene e aveva fatto molte amicizie.
Un pomeriggio le ragazze andarono nel cortile della scuola per la lezione di ginnastica; lì vicino c'era un campo da calcio, dove alcuni ragazzi disputavano una partita. Aurora notò il portiere di una delle due squadre: era un bellissimo giovane e lei s'innamorò subito. In seguito scoprì che era un principe indiano mandato anche lui in Inghilterra per studiare.
Alla fine dell'anno scolastico venne organizzata una festa da ballo; in quell'occasione Aurora conobbe il giocatore di calcio di cui si era innamorata e che era il maharaja di Jaunpur. Anche lui venne colpito da quella bella ragazza e pian piano s'innamorò di quella giovane svizzera. Alla fine dell'università i due decisero di sposarsi e di andare a vivere in India. Quando Aurora arrivò a Jaunpur con il suo sposo fu colpita dalla bellezza del suo palazzo. Era una costruzione molto grande, dove la tradizione indiana si mescolava ai sapori coloniali. Internamente le stanze erano ricche di arredi; le pareti erano ornate con fregi dorati, intarsi di pietre e vetri colorati, affreschi.
Aurora e suo marito vissero molti anni felici nel loro palazzo fino a quando un brutto giorno, per motivi d'interesse, il fratello del maharaja sabotò l'aereo su cui il principe si era imbarcato per recarsi a Nuova Delhi.
Quando l'aereo decollò una tremenda fiammata illuminò il cielo seguita da un boato.
Aurora si disperò, ma decise di continuare a vivere in India, nella terra di colui che aveva amato tanto. Pian piano fu accettata dagli indiani, che cominciarono a rivolgersi a lei in caso di bisogno.
Isaia accompagnò a casa della principessa i ragazzi che fissarono a bocca aperta il palazzo di Aurora, una immensa casa circondata dal verde, con spaziosi terrazzi, altissime scalinate, grandi finestre; sul retro un portico con eleganti colonne immetteva nel giardino curato. I corridoi erano infiniti.
Aurora ora era vecchia, aveva i capelli candidi come la neve, aveva il viso di una volta, con un po' più di rughe, e continuava ad indossare solo sari azzurri, il suo colore preferito.
Gli ospiti furono accolti nell'ampio salotto giallo con pilastri decorati; il pavimento era di marmo rosso ruggine con delle decorazioni lungo tutto il perimetro.
Durante il pranzo Isaia raccontò la storia dei due bambini. Aurora fece molte domande e ancora si meravigliò di come in India i bambini potessero crescere praticamente da soli.
Furono invitati a pranzo, ma prima i ragazzi furono condotti in stanze da bagno, immersi in acqua calda e profumata, e rivestiti con abiti puliti ed eleganti.
Iqbal entrò per primo nel salotto; poco dopo si aprì una porta e apparve una ragazza intimidita, che profumava di rose, avvolta in un sari dai colori dell'arcobaleno con i lunghi capelli raccolti e trattenuti da un fiocco rosso.
Iqbal fissò la ragazza, ammirato e solo allora si accorse che era Jasmine.
- Come sei bella!
- Anche tu hai cambiato aspetto.
- Speriamo cambi anche la nostra vita!
Furono serviti un bel piatto di granchio ripieno con salsa piccante, un enorme piatto di riso lessato e curry di lenticchie. Per finire calamari speziati.
Iqbal e Jasmin non erano abituati a mangiare tanto e cose così buone, stavano per scoppiare.
Al termine del pranzo Aurora promise il suo aiuto. I ragazzi si sarebbero occupati di piccoli lavoretti: in cambio avrebbero avuto vitto e alloggio e avrebbe insegnato loro a leggere e a scrivere.
Salutarono Isaia, ringraziandolo. Per i due iniziò una nuova vita.
Passarono i mesi, i bambini si affezionarono sempre più ad Aurora come se fosse la loro madre. Ma purtroppo la signora non stava molto bene, si ammalava sempre più spesso e i ragazzi si impegnavano a curarla.
11.
La missioneAurora era vecchia e debole. Quando si svegliava al mattino non aveva voglia di continuare a vivere, si addormentava alla sera con il pensiero della morte, così non poteva più occuparsi dell'educazione di Iqbal e Jasmine.
Un paio di mesi dopo Aurora stette veramente male. Sapeva che tra poco tempo sarebbe arrivata la sua ora ed era molto turbata per il futuro dei ragazzi: non appartenendo a nessuna casta, non avrebbero potuto avere un futuro migliore. E così ogni giorno debole, turbata e pensierosa, cercava qualche soluzione per loro, ma non ne trovava.
Un giorno un missionario bussò alla porta. Era un uomo alto e robusto con la barba e i capelli bianchi, dalla carnagione scura, gli occhi dolci, indossava un camice bianco e emanava serenità.
- Salve. Ho saputo che lei è una persona molto generosa. Io sono un missionario, mi chiamo Surgait, e spero che ci aiuti nella nostra missione che si trova a Calcutta e che prevede istruzione, cibo, salute per i bambini paria.
- Siete voi che dovete aiutare me; io sono molto vecchia e ormai non posso più occuparmi dell'educazione dei due ragazzi che mi sono stati affidati. Vorrei tanto che ve ne occupaste voi - ribatté Aurora.
- Bene, ma i ragazzi sono d'accordo ?
Aurora perplessa aggiunse:
- Non gli ho ancora parlato con loro.
Furono chiamati Iqbal e Jasmine che guardarono pensierosi lo sconosciuto.
Aurora cominciò;
- Ragazzi vi devo dire una cosa molto importante. Io vi voglio molto bene e non vorrei mai lasciarvi, ma sto diventando troppo vecchia. Dovete pensare al vostro futuro. Quest'uomo si occupa di bambini come voi e potrà aiutarvi al mio posto.
- Ma noi vogliamo restare con te - la interruppero insieme.
- Ragazzi non è più possibile. Io non posso fare più niente per voi.
Surgait parlò della missione.
I due ragazzi si allontanarono in silenzio dalla stanza. Appena soli Jasmine scoppiò a piangere:
- Non voglio lasciare Aurora. Io qui sono sicura.
- Anch'io, ma nella vita non si può sempre scegliere. Io sarò sempre al tuo fianco.
- Ma noi non avremo mai una vita tranquilla?
Iqbal sospirò: anche lui era preoccupato.
Dopo pochi giorni arrivò l'ora della partenza, Iqbal e Jasmine erano molto tristi: non volevano lasciare sola Aurora.
Ma ben presto giunse davanti alla casa il risciò del missionario:
- Cosa aspettate? Salite a bordo!
I ragazzi abbracciarono piangendo Aurora, mentre lei cercando di sorridere, si asciugava le lacrime.
Arrivati alla missione, Iqbal e Jasmine scesero dal risciò e incominciarono a guardarsi intorno.
Poi chiesero:
- E adesso dove andiamo?
- Venite con me. Vi porto nelle vostre stanze.
Erano grandi camere, illuminate da ampie finestre e con tanti letti. C'erano tanti bambini e ragazzi, tutti come loro che li salutarono festosi.
Dopo pochi giorni Iqbal e Jasmine avevano già conosciuto la maggior parte degli ospiti e, sebbene le storie fossero diverse l'una dall'altra, erano tutte storie di vite difficili, vissute nella miseria, spesso senza affetti, sempre senza aver potuto godere la loro giovane età nella spensieratezza.
I due ragazzi si abituarono presto a questa nuova vita. Iniziarono a frequentare la scuola. Il cibo era sempre abbondante; tutte le settimane veniva alla missione un dottore europeo per tenerli sotto controllo.
Conclusione
Lì la vita era molto più bella; anche se i ragazzi dovevano impegnarsi nello studio e fare qualche servizio per collaborare al buon andamento della missione, avevano anche del tempo libero per giocare e i maschi, ad esempio, si divertivano a disputare delle lunghe partite di pallone, anziché passare la giornata a cucirli.
Jasmine aveva realizzato il suo desiderio. Trascorreva molte ore a leggere e a studiare, sognando di poter insegnare ad altri bambini a scrivere. Iqbal studiava ed aiutava i missionari; era spesso in giro con loro per soccorrere chi era in difficoltà, sognando di saper curare gli ammalati, come il dottor Isaia. Trascorrevano ancora molto tempo insieme, continuando a confidarsi i loro pensieri e le loro speranze.
Indice
1.
Jasmine ........................................... pag. 12. La famiglia di Iqbal ........................ pag. 5
3. La caccia ....................................... pag.10
4. Kumar ............................................ pag.15
5. La fabbrica ..................................... pag.19
6. La fuga ........................................... pag.21
7. Nuovi amici ..................................... pag.27
8. Benares ........................................... pag.34
9. Il dottor Isaia .................................. pag.36
10. Aurora............................................ pag.41
11. La missione .................................... pag.47
Conclusione ..........................................pag.52